Della gloria e del destino estense.
Prefazione di Riccardo Modestino
“ Una generazione passa, un'altra
viene e la terra vive sempre”
Ecclesiaste.I.4

Platone scriveva che “la bellezza è lo splendore del vero”, cioè la radice dell'essere, delle cose che esistono.
La bellezza è il grande mistero e il grande desiderio dell'uomo. E' noto come Ferrara sia stata definita dal conte Leopoldo Cicognara, Presidente dell'Accademia di Belle Arti di Venezia, nel confronto diretto con Parma, “città sublime” . Evocando in tal modo un forte sentimento di partecipazione del visitatore curioso di possedere quell'unica forza, che è la bellezza, che non può essere assoggettata da nessun potere e da nessuna ideologia, da nessun dolore e da nessuna guerra.
La storia di Ferrara, pur essendo il frutto di ambiziose imprese, di violente affermazioni di conquista, di astuti compromessi, ha visto la nascita della leggenda di una famiglia, gli Estensi, che ha riempito le cronache di tutti i tempi con le loro grandezze e le loro miserie, le grandi opere di bonifica dei terreni paludosi e di controllo delle acque, il mecenatismo, l'amore e le guerre, le opere di carità e i tradimenti. L'aspirazione a un mondo sognato fa di questa famiglia ducale un explemum unico nel panorama europeo in cui si coniuga una visione classica con la grande tradizione cavalleresca .
Avvenne così che l'ultimo Duca, Alfonso II, di cui la bella impresa di Giancarlo Bresciani narra le alterne vicende e fortune dal mondo favoloso dell'infanzia alla età del principe sovrano sino al melanconico tramonto, divenne per i cronisti dell'epoca “ il principe che in grandezza d'animo ebbe pochi pari ai suoi giorni”.
Sin dal suo insediamento, il 26 novembre 1559, il nuovo Duca si era recato, di buon ora, nel palazzo del Belvedere, dove aveva atteso l'arrivo dei rappresentanti della città per chiedergli di accettare il potere. Conclusa la cerimonia, aveva preso simbolicamente il possesso della città, con un corteo formato da centinaia di putti. Una inusitata grandiosità, completata dalla presenza di trombettieri e staffieri, musici e centinaia di soldati a cavallo, nobili e gentiluomini in numero di mille, su cavalli riccamente bardati e paggi.
Il Duca stesso, cavalcava sotto un baldacchino, era vestito con il mantello e la berretta ducale, sopra la quale aveva fatto porre una preziosa corona.
Lo sfarzo della corte dell'ultimo Duca di Ferrara – non potendo godere di una successione legittima, l'erede non riconosciuto, Cesare d'Este, assisterà inerte alla devoluzione di Ferrara allo Stato Pontificio mercoledì 28 gennaio 1598 – ebbe tuttavia un'influenza positiva sulle arti teatrali: i tornei, cioè gli spettacoli a tema ove, attorno a un soggetto, si sviluppavano recitazione, canto e danza, uniti a battaglie e naumachie, con largo uso di macchine sceniche sempre più spettacolari.
Se è vero che i tornei erano destinati a festeggiare personaggi in vista o a celebrare matrimoni importanti, questi spettacoli - presto divenuti noti in tutta Europa - furono all'origine dello sviluppo, nel XVI secolo, di forme espressive nuove, come il balletto, l'opera e il teatro musicale. Abbandonato ogni vestigio, Alfonso II volle imporsi come principe sovrano, libero dai vincoli con la volontà popolare, infierendo spesso con tasse esose su un tessuto sociale impoverito dalle carestie e da eventi sismici, fra cui quello terribile del 16 e 17 novembre del 1570.
La sua ambizione lo portò, nel periodo conclusivo del suo principato, a costruire l'ennesimo castello, a Mesola, circondato da una grandissima tenuta di caccia entro la quale daini, cervi e cinghiali erano nutriti a spese della corte per essere poi oggetto di cacce organizzate per divertimenti dei nobili ospiti. Sembra addirittura volesse fondare una nuova città, Alcina, fra le mura che circondavano quella sterminata tenuta, per creare un porto sull'Adriatico e competere quindi con Venezia nei commerci con l'Oriente.
Abbandonato da tutti i consiglieri, solo nella sua stanza ove giaceva afasico, non volle ricevere nemmeno la terza moglie, Margherita Gonzaga, che non poté procreare l'atteso erede per la sterilità del Duca già diagnosticata negli anni precedenti dai medici di corte.
I primati di Ferrara avevano raggiunto l'apice nel Rinascimento, proprio nell'età del Duca Alfonso, con grandi poeti, pittori e musicisti come Torquato Tasso, Dosso Dossi, l'Ortolano, il Bastianino, Luzzasco Luzzaschi, Gesualdo da Venosa, Girolamo Frescobaldi e il Concerto delle Dame di Ferrara, primo ensamble musicale d'Europa, tutto al femminile. I colti viaggiatori cedevano al suo incanto: Montaigne non poté dimenticare il profumo dei sui numerosi giardini, avvertendo un sentimento di inappartenenza, di assenza, di non connotazione fisica delle cose, come se gli uomini fossero fatti di puro spirito.
La stessa sensazione di città di spazi vuoti, di assenza che avrebbero avvertito, nei secoli successivi e in modo acutissimo, i principali interpreti dell'arte Metafisica: i fratelli De Chirico. Nelle loro opere si potrà cogliere infatti l'ironia dell'artista di fronte alla propria inquietudine di homo metaphysicus, la volontà di soggiogare e dominare le materie e le forze oscure di cui è costituita la realtà, compresa quella dello stesso soggetto umano. Quella stessa potente forza oscura della mente che, appena tre mesi dopo la scomparsa del Duca Alfonso, la mattina del 2 maggio 1598, avrebbe posto fine, nella villa di Zenzalino, in modo barbaro e crudele, alla vita della celebre cantante Anna Guarini, consorte del conte Trotti, accecato da una folle gelosia.
L'inaudito atto di barbarie metteva fine anche simbolicamente alla stagione ferrarese della dinastia estense, uccidendo una delle più belle dame e delle più famose artiste di quella sfarzosa corte appena scomparsa.
Soltanto Marfisa d'Este sarebbe ritornata a Ferrara per terminare la sua vita di donna che dell'amore sublime aveva vissuto tutte le stagioni, nella sua capacità di dare gioia e sofferenza.
Si era chiuso così il cerchio di un Casato che aveva chiesto agli artisti e ai poeti di essere gli artefici della loro fortuna politica e della loro feroce sete di potere. La gloria e il destino di poter conoscere questo affresco che è la storia di Ferrara estense; la coscienza di esserne consapevoli, cioè di riconoscere la realtà, ogni cosa, come segno di ineffabile incanto.
La città, nella sua bellezza e profondità sublime, ci apparirà infine come una icona dell'infinito Mistero che fa tutte le cose.

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