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Costantino Güll


UN VERO PRIMO VOLO.


17 aprile 1943 sabato.


Con il migliorare della stagione aumentano le giornate che portano una nota diversa alle monotonie del nostro corso di allievi ufficiali. Sono quelle in cui si abbandonano le lezioni, i libri, la ginnastica, le istruzioni sul lungomare e si parte per effettuare tiri al poligono con il moschetto e la pistola, oppure si va ai magazzini e depositi della Regia Aeronautica. Stamane all'alba, in pieno assetto e al canto degli inni, le due compagnie marciano per raggiungere in seconda visita, a circa 15 chilometri, l'aeroporto di Palese Macchie. Dopo un esame pratico sugli impianti ed attrezzature, ecco questa volta la sorpresa del Comandante: mette a disposizione due Marsupiali (SIAI S.M.82), perché a gruppi di 40 potessimo volare sulla città di Bari. Luigi, il camerata vicino, mi tira un braccio: "Ci siamo! E' il battesimo del primo volo!"
Nell'entusiasmo e con l'assordante rombo salgo sull'assegnato trimotore del mio turno, pilotato dal nostro colonnello, e dopo il rullaggio prendiamo sempre più quota, per cui alle 11,10 siamo a circa 500 metri. Non vi sono sedili, hanno vietato di fare movimenti e siamo aggrappati alle manopole dei cavi. In piedi, mi dondolo piacevolmente avvicinandomi un po' troppo ad una sorta di oblò per meglio ammirare il panorama. Si profila oramai lontano il triangolo verde del campo di Palese sul quale, tra le nuvolette, tuffandosi in picchiata e risalendo in richiamata, si esercitano tre Ju 87, i famosi Stuka germanici. Sul limitare della pista, accanto ai filari di ulivi nani, un trasporto decolla trascinando un treno di alianti. E a sinistra la città comincia ad allungarsi lungo l'arco della costa.
Però qui dentro tutto scuote e vibra, cosi mentre mi sposto, ad una virata che ci inclina, sfuggita, la presa perdo l'equilibrio e vengo sballottato, pigiando poi violentemente contro il doppio portello mal chiuso di questo scassato aereo, metà del quale scivola fuori e la corrente mi risucchia nel vuoto, spalancando l'abisso sotto i piedi in una esplosione di silenzio.
Rotolo e precipito con i panni strappati da dosso, nell'abbraccio dell'aria tra sprazzi di luci d'argento. La sensazione stordisce e dopo pochi secondi mi trovo sprofondato in un enorme cumulo di paglia posto sull'aia. Non sono svenuto ma sono molto intontito e gli uomini e le donne scavano con le mani per tirarmi fuori. Ricordo le parole: "Stè doò! Stè doò! Sand Ncol bndett!" E' incredibile infatti, entrato di fianco con la testa giù, sono sano e tutto intero, neanche una slogatura e funziona anche l'orologio! Però sembro un impagliato e le gambe reggono a fatica. Così mi portano in casa, aiutandomi a strappare i fili che pungono e puzzano di marcio. Festeggiano la mia fortuna. Stappano del vino speciale, ma non bevendo ne accetto un goccio. Bevono loro. Vogliono offrirmi una sigaretta e non fumo. Qui spunta una fisarmonica e ballano mentre le donne preparano da mangiare. Parliamo del più e del meno, mostrando preoccupazione per come gira la guerra. L'aver persa la bustina è il minimo scontato, però mi accorgo della mancanza del portafogli e mi dispiace. Non lo rinvengono neanche spianando la paglia coi tridenti. In quell'ammasso non è facile.
Dopopranzo decido per la partenza, non andando al vicino aeroporto dove non sono conosciuto, preferisco fare ritorno alla scuola. Quindi terminando in nuova cortesia, un giovane mi accompagna con il veloce calessino; per la strada ci ferma l'allarme aereo e arriviamo sull'imbrunire prima del coprifuoco.
Quando mi avvicino al cancello, la sentinella, fugge urlando al fantasma. Infatti la notizia della caduta e sicura morte è rimbalzata con me ed è stato diramato ai carabinieri un dispaccio per la ricerca del corpo.
Invece questa notte non è stato il solito allarme a tenere desta la camerata, ma il ritorno fra i vivi, per cui sono al centro delle premure e festeggiato, fino alle ore piccole per il 17 della vita ritrovata.
18 aprile domenica.
Ancora felicitazioni in aula, dove il volo è diventato favola. Ho frattanto appreso che perso il portello, il Marsupiale è stato costretto al ritorno in emergenza con gli allievi terrorizzati e i voli sono stati sospesi. Ma forse anche prima non era in perfette condizioni. Me ne convinco perché, chiamato a rapporto dal colonnello, presente il Capitano Lena, non sono stato redarguito come di dovere, cavandomela senza punizioni. E nella conclusione mi sento sempre più frastornato! Un cumulo di paglia posto laggiù in un mese non di trebbiatura e che sembrava aspettasse la mia caduta di pochi secondi a forse 200 e più all'ora: cosa è veramente un miracolo?
23 aprile venerdì
Ritorna anche Gíliola.
Giliola ha volato con me, lasciandomi e planando altrove. Infatti la foto era nel portafogli perduto. Oggi mi chiama il Capitano Lena per un alquanto buffa vicenda, in presenza del Sottotenente Grisanti e di un tale di campagna mai visto. Costui si è presentato con il mio portafogli, dichiarando dì averlo trovato sopra un terrazzo, al quale si accede per una scala esterna e dove con suo grande fastidio "si arrampicano i soldati per fare l'amore". Con la mia tessera postale e il foglio di viaggio di Natale, ora è trionfante per la prova della violazione. Dal capitano vengo subito creduto quando affermo di aver perduto il portafogli nel volo e di non conoscere il terrazzo. Però è ben difficile convincere il tale e vanno in bestia i due ufficiali, in particolare il capitano che non ammette di non essere creduto sulla parola, e inoltre l'uomo, per la mancanza delle 300 lire, si prende del ladro e viene scacciato con minacce e disonore.
Quando va via, sono sull'attenti e il capitano estrae dal pieguccio rosa la foto di Giliola. Gli ufficiali sono romani e il capitano commenta: "Bravo Güll, è na' bella fiia." E il sottotenente: "Si, na' bella fiia ma, proprio sotto all'esami che hai da pensà alle belle fiie dopo che ve ne dicemo tante?" Allora sempre sull'attenti rispondo: "Ma, signor tenente, non è barese, la mia ragazza è di Napoli", ed egli domanda: "E come se chiama?" Con enfasi esclamo: "Giliola!" Il capitano ci pensa un po' su, e riposta la foto nel pieguccio che mi porge insieme al portafogli e le carte, abbozza un sorriso con le parole: "Giliola, "lilium", giglio. Dopo la grazia che hai avuto, questo giglio 1o devi portare proprio a Sant'Antonio." Ma io, che sento incredibile anche l'ultimo finale dell'assurda avventura, me ne vado non comprendendo il perché Giliola debba' esistere solo in tale modo.

Dr- Costantino Güll
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44100 FERRARA - Tel. 0532/211541

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