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6 Mantelli ed il Nucleo Volo Senza Motore dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana: benzina in "prestito" e tanta passione

Soltanto nell'inverno del 1944, in seno all'Aeronautica Nazionale Repubblicana, la specialità aliantistica rinacque: il promotore fu il cap. Adriano Mantelli

Adriano Mantelli si appresta al decollo sullo Sparviero

che, già asso nei cieli di Spagna ed olimpionico di volo a vela, si impegnò a ricostruire, in via del tutto ufficiosa, un Nucleo Volo Senza Motore riconosciuto ufficialmente soltanto nel marzo del '45. Vi confluirono alcuni tra gli aliantisti già brevettatisi nel corso "Aquila", nonché numerosi altri ufficiali e sottufficiali in forza all'ANR; tra gli istruttori il cap. Francesco Brera, il ten. Gianni Corradi, il ten. meteorologo Plinio Rovesti ed il serg. Cappellini. I mezzi, in vero modestissimi, furono gli AVIA FL 3 quali traini, ed i CVV 2 Asiago quali veleggiatori; graditissima sorpresa fu la consegna del prototipo CVV 6 Canguro,

Un esemplare di CVV 6 Canguro

 

Alianti CVV 2 Asiago del NVSM dell'ANR comandato da Adriano Mantelli

già civile I-CICI, ora riverniciato in una marziale livrea verde scuro uniforme. La maggiore fortuna del Nucleo risedette comunque nel fatto che la sua base, Cascina Costa (Varese), fosse limitrofa a quella del Gruppo Aerosiluranti Faggioni nonché a quella di numerosi reparti tedeschi: invitando questi vicini a provare la limpida purezza del volo silenzioso, Mantelli richiedeva ad ogni ospite due litri di benzina supplendo in questo modo alla drammatica scarsità di propellente, scarsità comunque che imponeva ai piloti degli FL 3 di spegnere il motore non appena l'aliante si fosse sganciato trasformandosi quindi, durante l'atterraggio planato, in aliantisti loro malgrado! La sensazione che l'esperienza del NVSM dell'ANR trasmette è assai poco marziale tanto che il piccolo gruppo ha più le sembianze di una squadra sportiva che quelle di un reparto militare: nessun velivolo da trasporto o d'assalto, nessuna attività specificamente rivolta all'impegno bellico ma tanta dedizione al volo di distanza e di durata su alianti veleggiatori dalle eccellenti qualità agonistiche. Del resto le esigenze primarie dell'ANR erano tutt'altro che offensive: le limitatissime forze disponibili dovevano essere destinate alla difesa delle metropoli del nord dai bombardamenti alleati e delle coste da ulteriori sbarchi che spostassero ancora più a settentrione il fronte terrestre. Da qui la decisione di organizzare, oltre ai necessari servizi logistici, unicamente la specialità della caccia e dell'aerosiluramento, trascurando ogni altra iniziativa di natura offensiva. Insomma, a guerra ormai irrimediabilmente perduta, il volo a vela riscopriva la sua vera natura, quella candida, certo la più splendida: tra gli ultimi clamori di guerra, in mezzo al sangue che ancora scorreva copioso, Adriano Mantelli si preparava alla rinascita postbellica ed ai successi sportivi che presto, in un cielo del tutto rasserenato, avrebbe saputo conseguire [nota 14..Difficilissimo sintetizzare in pochi dati i successi postbellici di una delle principali figure del panorama volovelistico nazionale: scegliendo quasi senza alcuna logica ricordiamo il record di distanza del 1949 conseguito volando con un biposto Meise per 440 Km; il secondo posto nel campionato mondiale del '54 e, nello stesso anno, il record di durata stabilito con una permanenza in aria di 24 h] .

Il magnifico CVV 6 Canguro, già civile I-CICI, in forza al
NVSM di Mantelli presso l'aeroporto di Cascina Costa

 

Una bella immagine del Canguro

Nonostante i modestissimi mezzi del Nucleo l'attività di volo veleggiato sullo splendido Canguro proseguì fino al 23 aprile del '45. Due giorni dopo i partigiani circondavano il campo richiedendo la resa che veniva respinta fino al giorno 28 allorché una delegazione del CLN consegnò a Mantelli l'ordine d'arrendersi emanato dal magg. Adriano Visconti,

Adriano Visconti

comandante del 1° Gruppo Caccia dell'ANR nonché asso degli assi italiani con 25 vittorie. Consegnandosi ai partigiani Mantelli ignorava che Visconti, già arresosi, era stato assassinato quello stesso giorno con un colpo di mitra sparatogli proditoriamente alla schiena.

7 Finalmente (forse) una missione operativa: l'ALICAP ed il Battaglione NP della Xa MAS

Sebbene il Nucleo di Mantelli ben poco avesse di aggressivamente militare, l'unica azione bellica realizzata nel corso della seconda guerra mondiale da militari italiani impiegando alianti venne eseguita (ma il dato non ha alcuna certezza) proprio in seno alle forze armate della RSI. Le informazioni archivistiche relative a questa impresa sono pressoché nulle e la letteratura a riguardo si riduce, almeno così l'estensore di queste brevi note ritiene, ad un mero accenno contenuto nel volume di N. Arena sull'A.N.R.[nota 15..N.ARENA, L'Aeronautica Nazionale Repubblicana. La guerra aerea in Italia 1943-45, Parma 1995.]. Una piccola illustrazione al tratto, contenuta nella suddetta opera[nota 16..Ibid., p. 257] , rappresenta uno strano libratore, ala alta controventata, presumibilmente con apertura compresa tra i 15 ed i 20 metri, piani di coda dotati di tre derive una centrale e due disposte alle estremità del piano orizzontale, fusoliera minimale che, riducendosi ad un grosso traliccio, ospita, esposti all'aria aperta, oltre al pilota, quattro militari seduti a coppia, spalle contro spalle, di traverso rispetto all'asse longitudinale del velivolo. La didascalia dell'illustrazione chiama quello strano velivolo "aliante modello ALICAP"

Il disegno dell'ALICAP presente nel volume di N. Arena

ed assicura che esso fu operativamente testato in una missione eseguita in una data imprecisata da membri del Btg. N.P. sul fronte del fiume Senio. Stringato commento per quella che dovrebbe essere l'unica azione aliantistica compiuta da italiani nel corso della seconda guerra mondiale! Ora N.P. è l'acrostico di Nuotatori Paracadutisti, battaglione forte di circa 1.400 uomini ai comandi del cap. Nino Buttazzoni,

Un gruppo di soldati del Btg. NP ritratti prima dell'8 sett. L'ultimo uomo
in piedi a destra è il cap. Nino Buttazzoni comandante il battaglione


inquadrato dopo l'8 settembre, nella già citata Xa Flottiglia MAS che, ai comandi del col. Junio Valerio Borghese, aveva proseguito in massa e senza soluzione di continuità la lotta a fianco dei tedeschi. Di fatto, solo in seguito alla costituzione della RSI, e cioè dopo tre mesi di combattimenti condotti autonomamente, il reparto di Borghese sarebbe confluito nelle Forze Armate di quello Stato quale Divisione di Fanteria di una praticamente inesistente Marina Nazionale Repubblicana.

Il cap. Nino Buttazzoni, primo a destra, in tenuta da lancio e da nuoto


Proprio l'evanescenza della Marina Repubblicana ed il grande carisma del suo comandante permisero alla Xa di rimanere effettualmente un reparto autonomo gestito personalmente e personalisticamente da Borghese. Come questi sia stato capace di addestrare alcuni suoi uomini all'utilizzo del mezzo aliantistico, dove la Xa abbia trovato fondi e capacità tecniche per realizzare un pur semplice mezzo come l'ALICAP resta un mistero anche per chi scrive. La letteratura relativa alla Xa è di fatto sconfinata ed in larga parte costituita da testi pubblicati da realtà editrici modeste e dotate di ben scarsa visibilità: difficile dunque escludere che qualcuno dei numerosi diari di marò repubblichini non contenga accenni all'ALICAP ed al suo impiego. Certo è che le stesse memorie di Nino Buttazzoni [nota 17..N. BUTTAZZONI, Solo per la Bandiera. I Nuotatori Paracadutisti della Marina, Milano 2002], comandante del reparto N.P. che avrebbe dovuto condurre la missione aliantistica e che fu effettivamente impiegato sul fronte del Senio nel marzo-aprile 1945, non fanno menzione alcuna di questo evento, così come il testo sui reparti paracadutisti italiani di G. Lunardi[nota 18..G. LUNARDI, I paracadutisti italiani 1937/45 - Italian Parachutist Units 1937/45, Milano 1989] e quello di M. Setti[nota 19..M. SETTI, Ali silenziose. Operazioni militari con alianti durante la Seconda Guerra , Milano 2001  ] , un'interessante rassegna delle missioni aliantistiche svolte nel corso della seconda guerra mondiale dai vari belligeranti nella cui introduzione è peraltro lo stesso Arena ad escludere categoricamente che l'Italia possa esser stata capace di organizzare un impiego bellico del "senza motore". E' ovvio che il piccolo reparto di Buttazzoni, in quanto costituito giustappunto da nuotatori paracadutisti, dovette avere una certa confidenza tanto con l'ANR quanto con la Luftwaffe, ma da qui a comprendere come una missione tutto sommato così complessa come quella presumibilmente condotta sull'Appennino tosco-emiliano possa essere stata organizzata ed eseguita rimane un mistero. Certo dall'illustrazione dell'ALICAP potremmo facilmente desumere che un velivolo così basico rinunciasse ad alcuni dei principali vantaggi offerti dai più voluminosi e complessi alianti d'assalto: in primo luogo la scarsa efficienza, conseguente ad una aerodinamica assai incerta, avrà obbligato l'aereo trainatore a condurre il trasportato fin nelle estreme vicinanze del luogo di atterraggio vanificando la sorpresa derivante dalla silenziosità dell'aliante; in secondo luogo il basso numero dei militari ospitati dall'ALICAP avrà ridotto drasticamente quella potenza concentrata di fuoco sviluppata dalle squadre di 15-20 uomini trasportati dai canonici alianti d'assalto. L'alta potenza di fuoco immediatamente disponibile può essere per altro considerata come il vero vantaggio dell'aliantismo rispetto al paracadutismo, laddove il lancio dei paracadutisti, anche se eseguito in massa, comporta necessariamente una notevole dispersione degli uomini sul campo di battaglia. Necessità di un sensibile avvicinamento del treno aereo all'obbiettivo e, ancor più, scarsissima consistenza della truppa trasportata fanno ritenere a chi scrive che l'ALICAP fosse destinato quasi unicamente all'infiltrazione di ridottissimi nuclei di sabotatori dietro le linee nemiche e che, se l'operazione lungo il Senio fu realmente eseguita, essa dovette avere questa natura e finalità.


8 Piloti a reazione ovvero piloti a vela

Esiste un'altra esperienza volovelistica che vide, nei tempi di guerra, piloti italiani come protagonisti, un'esperienza non legata in alcun modo al tentativo di costituire una componente aliantistica d'assalto ma ad un tutt'altro genere di esigenza.
Nel novembre del 1944, terminato il ciclo operativo sui Macchi C. 205 V,

Macchi C. 205 V


il 1° Gruppo Caccia dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana, comandato dal magg. Adriano Visconti, era in addestramento ad Holkirchen per il passaggio sui Bf 109 G.

Un Bf 109/ G.10 del 1° Gruppo Caccia dell'ANR
mimetizzato sul campo della Malpensa

 

Un esemplare di BF 109 G della Luftwaffe

Fu qui che la Luftwaffe offrì ad un numero limitato di piloti del reparto di iniziare l'addestramento per il passaggio su di una macchina che, al momento, rimase segreta.
All'offerta aderirono 17 piloti, tutti scapoli per la pericolosità del incarico che sarebbe stato loro assegnato; comandati dal cap. Giuseppe Robetto, i nostri furono scherzosamente ribattezzati dai loro camerati "i reazionari" nella convinzione che la macchina cui sarebbero stati destinati fosse il modernissimo bireattore a reazione Me 262. Ma una volta trasferiti nell'aeroporto di Rangsdor i 17 piloti ebbero la sorpresa di non vedere affatto i tanto attesi 262 ma alianti modello Grunau Baby ed Habicht.

Alianti Habicht 6 ad ali accorciate sui quali si addestrano
i 17 piloti del 1° Gruppo Caccia dell'ANR

 

Altra immagine di alianti Habicht durante l'addestramento

 

Il ten. Giuseppe Biron a bordo di un Habicht

 

Foto di gruppo dei piloti del 1° Gruppo Caccia in addestramento
sugli Habicht. Sdraiato, è riconoscibile il ten. Biron

 

Il ten Mario Zuccarini del 1° Gruppo CT dell'ANR a bordo di un Habicht
6 durante l'addestramento preliminare al passaggio sul Me 163 Komet

 

Un'altra foto di gruppo dei piloti del 1° Gruppo in
attesa del passaggio sul Me 163 Komet


Il fatto è che i nostri connazionali non erano stati destinati al bireattore della Messerschmitt ma ad un altro innovativo velivolo della stessa casa costruttrice: l'ancora sconosciuto Me 163 Komet.

Il primo prototipo del Messerschmitt Me 163 V-1. Privo
di propulsore, in attesa della disponibilità di un razzo
Helmut Walter HWK 509, è lungamente testato come aliante puro

 

Me 163 Komet

Derivato dagli alianti veleggiatori DFS 194 e DFS 40, progettati negli anni immediatamente precedenti al conflitto dal Dr. Alexander Lippisch,

DFS 40

 

Studi per velivoli ad ali a delta

il Komet potrebbe essere definito, con occhi da volovelista, un aliante motorizzato da caccia...in effetti il Me 163 è un piccolo velivolo lungo appena 5,69 m. privo di piani di coda orizzontali, con ala a delta di 9, 32 m. d'apertura per una superficie di 19,62 m2 ed un peso a pieno carico di 4.110 kg. Motorizzato da un razzo Helmut Walter HWK 109-509 A da 1.700 Kg/s., azionato dalla miscela esplosiva ottenuta da due diversi tipi di propellente, uno a base di perossido d'azoto l'altro di permanganato di potassio, il 163, decolla autonomamente su di un piccolo carrello biruota che si sgancia non appena il velivolo è in aria; spinto dal proprio propulsore, il 163 assume un assetto fortemente cabrato arrampicandosi alla strabiliante velocità iniziale di 90 m/sec. Raggiunti i 12.000 metri in 3' e 12'' il propellente del razzo si esaurisce. Il piccolo velivolo, ormai privo di propulsione, si getta in picchiata sui bombardieri alleati che operano ad una quota di circa 8.000 metri. Raggiunta una velocità pari a Mach 0,85, il Komet piomba con i suoi due cannoncini da 30 mm. sull'obbiettivo, rimanendo in contatto balistico per non più di 3-4 secondi, quindi prosegue nella sua formidabile affondata portandosi fuori dal raggio d'azione della caccia di scorta. L'atterraggio viene eseguito in volo planato su di un piccolo pattino di cui il Komet è dotato. In volo librato il nostro "aliante da caccia", con un efficienza di 8-9, non è poi malaccio. I problemi arrivano avvicinandosi all'atterraggio: la velocità in finale è di ben 220 km/h e una toccata un po' brusca potrebbe provocare un contatto tra i residui dei due propellenti che genererebbe una fatale esplosione cui ben poca protezione potrebbe offrire la speciale tuta di volo in amianto e fibra di Mipolam. Comprensibile dunque l'esigenza di addestrare i volontari del 1° Gruppo al volo planato e soprattutto agli atterraggi di precisione ad alta velocità senza alcuna possibilità di "riattaccata". L'Habicht è per questo una macchina assai indicata potendo montare ali di 14, 8, e 6 metri (alcune fonti bibliografiche citano addirittura una versione da 4 metri). Che il volo del Me 163 sia particolarmente affine a quello di un aliante è del resto dimostrabile dal fatto che il reparto tedesco cui ne è demandato lo sviluppo ed il primo impiego bellico, l'Erprobungs Kommando 16 (EK-16), è formato intorno ad una ristretta èlite di piloti già dotati di consistente esperienza volovelistica al comando del cap. Wolfang Späte[nota 20..Alcune informazioni circa l'utilizzo del Me 163 in seno alla Luftwaffe: dopo aver armato lo speciale EK-16 a partire dal febbraio del '43, il Me 163 venne destinato, nel maggio del '44, anche allo JagdGeschwader 400 il cui unico Gruppe a portare in combattimento l'aerorazzo fu il I. Il piccolo Komet, com'era prevedibile data la sua natura assolutamente rivoluzionaria, finì infatti per dare più grattacapi ai tedeschi che non agli alleati. Se, nonostante la cattiva reputazione, il tasso degli incidenti mortali su Me 163 non superò mai quello occorso su di un modello sperimentato e diffuso come il Me 109, è pur vero che numerosi combattimenti ingaggiati dai Komet finirono con un nulla di fatto: 3-4 secondi di contatto balistico erano di fatto insufficienti per poter correttamente collimare anche grossi bersagli come i B 17 od i B 24; d'altro canto la stupefacente velocità del 163 spingeva numerosi piloti di P 51 o di P 38 a non tentare neppure un inutile inseguimento in picchiata che avrebbe avuto quale unico effetto o il superamento della massima velocità strutturalmente sostenibile o un insanabile, quanto deprecabile, allontanamento dalla formazione scortata. Del resto a cadere vittima dei caccia americani furono proprio quei piloti tedeschi che non riuscirono a resistere alla tentazione di rallentare la picchiata d'attacco allo scopo di aumentare la durata del contatto balistico, vanificando così quella vertiginosa picchiata che rappresentava l'unica possibilità per il Komet di uscire indenne dallo scontro. Fu così che a conti fatti il bilancio tra aerei abbattuti e Komet perduti fu svantaggioso per la Luftwaffe: a fronte di sette vittorie sicure e due probabili, magro bottino dell'intero ciclo operativo, l'EK-16 ed il I/JG 400 persero ben quattordici velivoli.].
Mentre l'avanzata sovietica da est prosegue inarrestabile, l'attività dei piloti italiani dà i suoi frutti...i nostri, ancora all'oscuro della loro destinazione finale, si dimostrano assai abili nel pilotaggio dei caricatissimi Habicht 6. Agli atterraggi di precisione ad alta velocità imposti dagli istruttori tedeschi i nostri estrosi piloti alternano dimostrazioni acrobatiche di tutto rilievo. Nei primi mesi del '45, durante alcune lezioni teoriche viene svelato agli italiani il velivolo al quale sono destinati. L'entusiasmo sale. Ormai tutto è pronto, sull'aeroporto di Sprottau, per i primi voli librati su Me 163 zavorrati con acqua e trainati in quota da Me110. Purtroppo il campo si copre di neve mentre il 12 gennaio i sovietici passano la Vistola. Gli italiani, delusi, sono così costretti a tornare in patria dopo aver prestato la loro parola di mantenere il più rigoroso silenzio su quanto visto ed appreso.

Terminava così ogni impiego di alianti da parte di militari italiani nel corso della seconda guerra mondiale. Nel periodo postbellico lo sviluppo dell'elicottero quale nuovo, flessibilissimo, velivolo atto al trasporto di truppe sul campo di battaglia privò l'aliante d'assalto di ogni ragione d'esistere…il senza motore tornò così ad essere, indubitabilmente, uno strumento sportivo. Il 1°settembre 1952 veniva affidato al magg. Adriano Mantelli il comando del Centro di Volo a Vela della rinata Aeronautica Militare. Abbandonato ogni possibile sviluppo dell'aliante quale mezzo da guerra, il Centro, avrebbe svolto attività volovelistica e propagandistica sui magnifici "Canguro" poi sostituiti dai Caproni Calif e dai Grob Twin Astir. Con il recente acquisto di Ventus 2B e Nimbus 4D, e la partecipazione a gare di livello nazionale ed internazionale, il Centro di Volo a Vela si configura come un reparto sportivo in seno all'Aeronautica Militare cui comunque, nel rispetto della lunga tradizione che vede il volo a vela quale attività propedeutica al volo a motore, è demandato il compito di organizzare quei corsi di cultura aeronautica per ragazzi iscritti alle scuole medie superiori finalizzati ad avvicinare quest'ultimi all' Arma Azzurra.

9 Quale eredità?

L'esperienza aliantistica italiana restò dunque, se si eccettua il dubbio impiego dell'ALICAP, priva di ogni pratico sviluppo operativo. In seno alla Regia Aeronautica, il 1° NAVSM, che avrebbe dovuto preparare i piloti al possibile impiego su Malta, arrivò a licenziare i primi brevettati solo nell'estate del '43 quando ormai l'Africa Settentrionale era già perduta e con essa l'esigenza di garantire la sicurezza del traffico marittimo nel canale di Sicilia. In seno all'Aeronautica Nazionale il reparto di Mantelli non parve avere obbiettivi propriamente militari, mentre l'esperienza dei 17 piloti del 1° Gruppo Caccia era da intendersi come meramente propedeutica all'impiego di un velivolo motorizzato. Insomma gli aliantisti italiani, e se ciò fu una fortuna o una sfortuna lascio al lettore decidere, si videro negata la possibilità di dimostrare sul campo la propria audacia e preparazione. Rimane comunque inevitabilmente centrale la constatazione che, a fronte di un pugno di piloti (forse) pronti all'impiego, mancò del tutto la truppa che da quelli si sarebbe fatta aviotrasportare!
Una domanda a conclusione del nostro breve studio: le esperienze aliantistiche maturate in quegli anni furono prodighe di effetti sul successivo sviluppo del volo a vela?
Qualora si eviti di considerare l'attività del reparto di Mantelli, che come abbiamo visto ebbe una forte connotazione agonistica e certo contribuì alla familiarizzazione col magnifico "Canguro" destinato a fulgidi traguardi, la risposta credo che debba essere assolutamente negativa. Sia che gli aliantisti militari fossero destinati all'assalto che al trasporto, è chiaro come il loro addestramento nulla avesse a che fare con quelle tecniche di veleggiamento che sono al contrario il cuore della disciplina sportiva volovelistica. Saper stare al traino con macchine di 3.000 Kg., magari nelle buie ore notturne, era l'obbiettivo dei corsi militari per conseguire il brevetto, non certo veleggiare nel sole sfruttando termiche e dinamiche! L'elaborazione di tecniche atte al volo di distanza così come lo studio dei fenomeni meteorologici volovelisticamente più interessanti, in quanto elementi non pertinenti, non vennero di fatto presi in considerazione. Allo stesso modo la ricerca ingegneristica non ebbe quale obiettivo la realizzazione di macchine capaci di esprimere elevate efficienze ad alte velocità, che è il naturale fine di ogni progetto sportivo, quanto la costruzione di velivoli atti a sopportare pesi elevatissimi pur presentando ampie aperture per facilitare il carico e lo sbarco. Che l'efficienza non fosse il parametro che principalmente afflisse la mente dei progettisti è considerazione facilmente dimostrabile qualora si pensi che anche LM 02, pur destinato ad avvicinarsi in volo planato al suo bersaglio da distanze relativamente sensibili, poté vantare un'efficienza non superiore a 10. In definitiva i tecnici impiegati nella progettazione di alianti militari non si dedicarono alla ricerca di profili alari sempre più spinti o al disegno di fusoliere sempre più penetranti, quanto alla risoluzione di problemi che difficilmente possono avere una qualche rilevanza per l'attuale produzione di mezzi sportivi. Certo alcuni tra i progettisti di alianti militari furono poi protagonisti della rinascita volovelistica post bellica, e tra i primi Ermenegildo Preti che seppe donare all'Italia quella splendida macchina che fu il "Bonaventura"; ma è intuitivamente comprensibile come questo fosse l'ultimo anello di una famiglia che trovava i propri progenitori negli altri alianti sportivi di Preti, dall'"Asiago", al "Pinguino" dall'"Arcore" al "Pellicano", dal "Papero" al magnifico "Canguro", senza essere geneticamente legato in alcun modo al bellico AL 12 P.
Forse un unico "settore disciplinare" può accomunare l'aliantismo militare al volovelismo sportivo: lo studio relativo alle tecniche di atterraggio fuoricampo. Se un aliante da trasporto è destinato, per lo più, ad atterrare su piste attrezzate (e l'elaborato carrello carenato dell'AL 12 P M.M. 508 ne è una dimostrazione), certo l'aliante d'assalto è chiamato a scendere su terreni non preparati o, e il che è assai peggio, su terreni che le forze avversarie hanno intenzionalmente munito di ostacoli. Logico ipotizzare dunque che la ricerca e l'addestramento al fuoricampo non fossero trascurati. Pur tuttavia è facile comprendere come, se la moderna letteratura sulle tecniche di fuoricampo si è concentrata su problemi quali la rapida valutazione delle condizioni morfologiche del suolo, dello sviluppo della vegetazione, della presenza di eventuali ostacoli aerei o radenti sì da permettere al pilota la scelta del campo più opportuno nel più breve tempo possibile, proprio tale scelta non era, nei voli di guerra, demandata al pilota ma era accuratamente decisa a tavolino nella fase di pianificazione della missione. Insomma il fuoricampo sportivo ha, necessariamente, una forte connotazione casuale dal momento che esso si può verificare in ogni momento del volo per una cessazione delle condizioni meteo favorevoli o (e questa seconda è certo la causa prima) per un errore di valutazione del pilota che si troverà allora nella necessità di scegliere rapidamente il miglior campo disponibile. Il fuoricampo militare non doveva al contrario avere questa componente casuale dato che la destinazione finale del volo era accuratamente pianificata dagli strateghi che organizzavano la missione cosicché il pilota finiva per essere, potremmo dire, defraudato della scelta del luogo d'atterraggio. Del resto, considerando che i voli di guerra si sarebbero svolti durante le ore notturne, risultava essenziale far sì che tale scelta non fosse demandata ad un pilota reso cieco dal buio!
Molte dunque, moltissime, le differenze che separano il volo militare da quello sportivo. Non resta che affermare che uno dei pochi, forse l'unico elemento che accomuna le due attività è la passione per il volo, l'ebbrezza provata nell'ascoltare il silenzio sorreggere la propria ala.


Ringraziamenti:
Un grazie di cuore a Giancarlo Bresciani per l'ospitalità nel suo sito, l'assistenza offertami durante la realizzazione di questo articolo, e gli insegnamenti volovelistici che settimanalmente mi trasmette. Ringrazio inoltre Fabio Bianchi, fine conoscitore della Regia come pochi altri, nonché insostituibile amico. Un grazie a Maria Novella, che pazientemente convive con la mia amante: un Ka 6 CR. Un grazie del tutto speciale al sole, alle termiche, al vento ed alle ascendenze di pendio: a loro devo la passione per il volo a vela.

G.T.


FONTI E BIBLIOGRAFIA


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Questo è molto di più di un semplice articolo, è una ricerca rigorosamente scientifica così come solo un professionista della storia può fare. Posso aggiungere che ciò che di positivo può trasparire da quegli anni tragici, fa sì che il passato possa rivivere nel presente, attraverso gli amanti di "Vintage" che ancora oggi volano così…

un bellissimo esemplare di un Habicht

 

e di un Grunau Baby…

Giancarlo Bresciani

 

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